di Pierpaolo Bon
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Chissà quanto tempo passerà prima che qualcuno trovi il coraggio di scirvere e annunciare al mondo, senza pudori e false remore, che l’era New Age è oramai in piena decadenza, se non addirittura definitivamente conclusa...?
Chissà se riusciremo presto a incontrare qualcuno che riconoscerà nell’Era dell’Aquario un affascinante e nostalgico retaggio di un periodo storico emblematico e straordinario ma, oramai, ampiamente metabolizzato e superato?
Fermarsi un attimo a pensare che certi termini e certi fenomeni storici, sociologici, culturali appartengono ad un altro secolo (sì, proprio secolo) fa indubbiamente venire i brividi: "tempus fugit", e sarebbe bene rendersene conto sempre, indipendentemente dal fatto che uno porti a casa il pane facendo il notaio o l’operatore olistico... Da queste lucide e impietose considerazioni sembrerebbe facile dedurre una rapida scomparsa dalle librerie e dagli scaffali dei fruttivendoli di testi e immagini legati alla moda “New Age”: angeli, gnomi, folletti, numeri segreti, piramidi in mezzo al mare, extraterrestri, complotti intergalattici, sciamani in 24 ore nel proprio giardino di casa, pranoterapia a dispense, guaritori in 7 giorni, medaglioni di divinità esotiche di cui non si è neanche in grado di pronunciare il nome...
Niente di più falso! Gli scaffali sono ancora pieni e debordanti! Non cambia molto la situazione se si accende il PC e si gironzola un pò in rete: se possibile, anzi, il panorama peggiora in maniera esponenziale, come oramai da tempo succede sul web per qualsiasi argomento. Purtroppo il fenomeno New Age, o post-New Age come sarebbe giusto chiamarlo, non è altro che lo specchio dei nostri tempi, un’ennesima riprova delle abitudini riduzionistiche e superficiali dell’uomo moderno, riprodotte in un contesto specifico e di nicchia. Risulta così molto dfficile riuscire a destreggiarsi tra le suadenti sirene di facili scorciatoie per la suprema verità, la guarigione totale, la potenza divina: che sia proprio questa la grande prova che ci si pone dinnanzi? Non più quella di cercare nel deserto, ma quella di farsi largo tra la folla? La capacità di distinzione ha preso il posto della capacità di immaginazione? E, svariando tra le discipline e i sentieri di ricerca non pare cambiare la situazione: nessuno sembra essere immune da quest’ansia di riduzione, semplificazione, categorizzazione icnografica e simbolica.
Pensiamo al Reiki, ad esempio, come un momento esemplare di riduzione e trasformazione consumistica-semplicistica. Ancora oggi si vedono in giro volantini, conferenze, libri e volumetti con affascinanti immagini di fulmini e saette, angeli alati e cieli illuminati da creature amorevoli. Così come si incontrano e si ascoltano persone, anche in buona fede, esaltanti la straordinaria capacità di guarigione e di amore svipluppata già con il primo livello. E, allo stesso tempo, ci si sente chiedere quale riconoscimento verrà dato al “diploma” e quando si potrà esercitare l’”arte della terapia”, dopo che non è passato neanche il tempo di rimettersi le scarpe a fine seminario (se non addirittura prima di cominciare...). Ma come, verrebbe da chiedersi, possibile che sia così difficile capire che un percorso spirituale, qualsiasi percorso spirituale, debba essere intrapreso solo e unicamente per un supremo atto di EGOISMO, quello di gurarire, maturare, crescere o illuminare Sè stessi, prima ancora di qualunque altro??? E’ così difficle per l’uomo moderno ammettere le poprie debolezze e le proprie disperate necessità interiori pirma di rivolgersi all’altro, umano o divino che sia? Possibile che per iniziare un percorso di crescita ci sia ancora la necessità di affidarsi agli angeli, a alle luci e alle voci? Quanto tempo passerà prima che i giovani ricercatori del nuovo millennio accetteranno la straordinaria grandezza e, allo stesso tempo l’infinita miseria della natura umana?
Perché, facile e troppo banale ricordarlo, tutto quello che cerchiamo è già dentro di noi.
Noi impiegati, commessi, commercianti, notai, avvocati e casalinghe.
Forse poco esotico, poco “esoterico”, poco scenografico e poco New Age ma, terribilmente, vero. Così come troppo poco coreografico ammettere alcune verità oramai incontrovertibili e riconosciute dalla scienza, dalla fisica, dalla matematica e dalla medicina moderne.
Troppo poco folcloristico ritornare “sui banchi di scuola” a sforzarsi di unificare le correnti di pensiero nel tentativo di cogliere, sia pure limitatamente alle proprie conoscenze e predilezioni specifiche, una sintesi significativa e funzionante dell’evoluzione teoretica umana.
Forse meglio affidarsi ad altri, soprattutto se eterei e invisibili...
In natura, almeno per quanto ci è dato di percepire e supporre, tutto è energia. La luce, il sole, la luna, il vento, l’albero, il muro di mattoni, questo foglio di carta, chi lo legge e chi ci scrive, tutto è energia. Cambia solamente il livello vibrazionale, la qualità, il tipo di energia o come si desideri chiamarla. Perché, forse, proprio qui sta il nocciolo della questione: la mente umana e, di conseguenza, il nostro vocabolario, non è in grado di distinguere e definire i vari livelli di energia se non chiamandoli vento, albero, muro, angeli, diavoli, carta e quant’altro. E il Reiki è un livello di energia. Un livello di vibrazione molto alto, o sottile, o puro. E quando viene applicato a gradi diversi, o più bassi, o meno sottili, genera una trasformazione, un riequilibrio che può portare a trasformazioni che verranno via via definite fisiche, psichiche, emozionali (di nuovo il nostro vocabolario limitato…). Il Reiki è, quindi, un tipo di energia che, applicato ad altra energia, ne interferisce il livello vibratorio, riequilibrandolo ed innalzandolo. Tutto qui. Ma poco romantico. Ed ecco allora in aiuto termini come la luce divina, l’energia di amore, il potere di guarigione… Perché, stando al nostro vocabolario, questi sono i termini correnti più appropriati per descrivere certe manifestazioni. Il rischio è che sembrano anche quelli più adatti per attrarre le menti semplicistiche ma, contemporaneamente allontanarne altre. Ne vale veramente ancora la pena? Non sarebbe il caso, per il Reiki, così come per altre discipline, iniziare a fare chiarezza e ordine, togliendosi di dosso quella patina di santità e autorità esoterica che fa presa solo sui più pigri e faciloni?
Emblematica è pure la storia del Reiki, ancora oggi negata da molti, moltissimi, a cui, evidentemente, certi privilegi e accolite di seguaci fanno comodo, molto. Il Reiki, o reiji, venne “assembalto” e “riscoperto” in Giappne degli anni Venti da un medico generico di nome Mikao Usui che, nonostante la straordinaria campagna di disinformazione, risulta ormai difficile definire ancora ai giorni nostri come un “monaco crisitiano”. Usui era di origine scintoista semmai, e studioso buddhista, probabilmente praticante. Non a caso fu proprio la sua passione per il buddismo esoterico a portarlo a scoprire e attivare il metodo che attualemente chiamiamo Reiki, sicuro retaggio di discipline più complesse e complete, non ancora chiaramente individuate. Eppure bastò meno di una decna d’anni dalla sua morte a confondere le acque e a costruire ad arte una leggenda su origine, utilizzo e insegnamento del metodo. Una leggenda che viene tenacemente propugnata ancora adesso, nonostante sia oramai storia la scoperta del manuale manoscritto di Usui, della Tomba di Usui, del Monastero in cui meditava e studiava (è sempre stato lì, da secoli...) e dei luoghi e delle ultime testimonianze di superstiti venuti a contatto con la scuola-clinica originaria di Usui. Ad oggi disponiamo delle tecniche originarie di Mikao Usui, delle posizioni delle mani codificate da lui stesso, dei suoi consigli e delle sue meditazioni. Eppure, stranamente, in Occidente si preferisce credere alla leggenda, alle 21 posizioni rigide e codificate (Usui ne indica almeno 150), alle varie storielle colorate prive di alcun fondamento storico, geografico o culturale. Sembra quasi che noi uomini occidentali, farciti di scientismo e razionalismo, gongoliamo di fronte alla tentazione di interpretare la realtà in maniera diametralmente opposta, facendoci aiutare da draghi, angeli e grifoni. Troppo facile: non occorre essere un Harry Potter per vedere che sono le due faccie della stessa medaglia. Emblematico, ancora una volta, il modo di diffondere il Reiki in Occidente: tecnica di guarigione e di benesse.
Le due parole magiche: chi tra noi non ha una magagna o un acciacco da cui volersi liberare per sempre? Chi tra noi non ha un problema o un cruccio di cui volersi alleggerire?
Pensiamoci: quanta gente avrebbe attratto il Reiki se fosse sempre stato presentato come tecnica di meditazione, crescita spirituale, momento di riflessione e lavoro e fatica su sé stessi, disciplina esoterica energetico-vibrazionale in grado di mettere a nudo le proprie responsabilità e i propri blocchi emozionali, prima ancora che come tecnica di trasmissione dell’energia anche ad altri (e qundi in grado, proprio per transazione, di produrre anche ad altri questi effetti)???
Quanta gente si sarebbe avvicinata al Reiki sapendo che Mikao Usui, essendo un medico giapponese, aveva preferito applicare il suo metodo a processi di guarigione emozionale-fisica prima che spirituale-esoterica, proprio per le sue specifche competenze mediche, anatomiche, fisiologiche?
Domande retoriche e risposte scontate.
Eppure la storia e l’attualità del Reiki sembra così emblematica di una certa tendenza che, dagli anni Settanta ad oggi, sembra non mollare la presa. Chissà se le nuove generazioni si avvicineranno alla spiritualità con maggior disincanto e, quindi, con maggior disponibilità e modestia. Chissà se gli “insegnanti”, i “master”, i “facilitatori” e quant’altro (per carità, non usiamo il termine maestro per nessuna disciplina!) che sono transitati nel nuovo millennio accetteranno le nuove esigenze di una società e di una domanda culturale in rapido mutamento, a parte il non trascurabile fatto di dovere mettersi in pari, prima o poi, con la Verità, quella nuda e cruda, quella vera, quella che non guarda a titoli, diplomi, onori e templi.
Chissà se riusciremo presto a incontrare qualcuno che riconoscerà nell’Era dell’Aquario un affascinante e nostalgico retaggio di un periodo storico emblematico e straordinario ma, oramai, ampiamente metabolizzato e superato?
Fermarsi un attimo a pensare che certi termini e certi fenomeni storici, sociologici, culturali appartengono ad un altro secolo (sì, proprio secolo) fa indubbiamente venire i brividi: "tempus fugit", e sarebbe bene rendersene conto sempre, indipendentemente dal fatto che uno porti a casa il pane facendo il notaio o l’operatore olistico... Da queste lucide e impietose considerazioni sembrerebbe facile dedurre una rapida scomparsa dalle librerie e dagli scaffali dei fruttivendoli di testi e immagini legati alla moda “New Age”: angeli, gnomi, folletti, numeri segreti, piramidi in mezzo al mare, extraterrestri, complotti intergalattici, sciamani in 24 ore nel proprio giardino di casa, pranoterapia a dispense, guaritori in 7 giorni, medaglioni di divinità esotiche di cui non si è neanche in grado di pronunciare il nome...
Niente di più falso! Gli scaffali sono ancora pieni e debordanti! Non cambia molto la situazione se si accende il PC e si gironzola un pò in rete: se possibile, anzi, il panorama peggiora in maniera esponenziale, come oramai da tempo succede sul web per qualsiasi argomento. Purtroppo il fenomeno New Age, o post-New Age come sarebbe giusto chiamarlo, non è altro che lo specchio dei nostri tempi, un’ennesima riprova delle abitudini riduzionistiche e superficiali dell’uomo moderno, riprodotte in un contesto specifico e di nicchia. Risulta così molto dfficile riuscire a destreggiarsi tra le suadenti sirene di facili scorciatoie per la suprema verità, la guarigione totale, la potenza divina: che sia proprio questa la grande prova che ci si pone dinnanzi? Non più quella di cercare nel deserto, ma quella di farsi largo tra la folla? La capacità di distinzione ha preso il posto della capacità di immaginazione? E, svariando tra le discipline e i sentieri di ricerca non pare cambiare la situazione: nessuno sembra essere immune da quest’ansia di riduzione, semplificazione, categorizzazione icnografica e simbolica.
Pensiamo al Reiki, ad esempio, come un momento esemplare di riduzione e trasformazione consumistica-semplicistica. Ancora oggi si vedono in giro volantini, conferenze, libri e volumetti con affascinanti immagini di fulmini e saette, angeli alati e cieli illuminati da creature amorevoli. Così come si incontrano e si ascoltano persone, anche in buona fede, esaltanti la straordinaria capacità di guarigione e di amore svipluppata già con il primo livello. E, allo stesso tempo, ci si sente chiedere quale riconoscimento verrà dato al “diploma” e quando si potrà esercitare l’”arte della terapia”, dopo che non è passato neanche il tempo di rimettersi le scarpe a fine seminario (se non addirittura prima di cominciare...). Ma come, verrebbe da chiedersi, possibile che sia così difficile capire che un percorso spirituale, qualsiasi percorso spirituale, debba essere intrapreso solo e unicamente per un supremo atto di EGOISMO, quello di gurarire, maturare, crescere o illuminare Sè stessi, prima ancora di qualunque altro??? E’ così difficle per l’uomo moderno ammettere le poprie debolezze e le proprie disperate necessità interiori pirma di rivolgersi all’altro, umano o divino che sia? Possibile che per iniziare un percorso di crescita ci sia ancora la necessità di affidarsi agli angeli, a alle luci e alle voci? Quanto tempo passerà prima che i giovani ricercatori del nuovo millennio accetteranno la straordinaria grandezza e, allo stesso tempo l’infinita miseria della natura umana?
Perché, facile e troppo banale ricordarlo, tutto quello che cerchiamo è già dentro di noi.
Noi impiegati, commessi, commercianti, notai, avvocati e casalinghe.
Forse poco esotico, poco “esoterico”, poco scenografico e poco New Age ma, terribilmente, vero. Così come troppo poco coreografico ammettere alcune verità oramai incontrovertibili e riconosciute dalla scienza, dalla fisica, dalla matematica e dalla medicina moderne.
Troppo poco folcloristico ritornare “sui banchi di scuola” a sforzarsi di unificare le correnti di pensiero nel tentativo di cogliere, sia pure limitatamente alle proprie conoscenze e predilezioni specifiche, una sintesi significativa e funzionante dell’evoluzione teoretica umana.
Forse meglio affidarsi ad altri, soprattutto se eterei e invisibili...
In natura, almeno per quanto ci è dato di percepire e supporre, tutto è energia. La luce, il sole, la luna, il vento, l’albero, il muro di mattoni, questo foglio di carta, chi lo legge e chi ci scrive, tutto è energia. Cambia solamente il livello vibrazionale, la qualità, il tipo di energia o come si desideri chiamarla. Perché, forse, proprio qui sta il nocciolo della questione: la mente umana e, di conseguenza, il nostro vocabolario, non è in grado di distinguere e definire i vari livelli di energia se non chiamandoli vento, albero, muro, angeli, diavoli, carta e quant’altro. E il Reiki è un livello di energia. Un livello di vibrazione molto alto, o sottile, o puro. E quando viene applicato a gradi diversi, o più bassi, o meno sottili, genera una trasformazione, un riequilibrio che può portare a trasformazioni che verranno via via definite fisiche, psichiche, emozionali (di nuovo il nostro vocabolario limitato…). Il Reiki è, quindi, un tipo di energia che, applicato ad altra energia, ne interferisce il livello vibratorio, riequilibrandolo ed innalzandolo. Tutto qui. Ma poco romantico. Ed ecco allora in aiuto termini come la luce divina, l’energia di amore, il potere di guarigione… Perché, stando al nostro vocabolario, questi sono i termini correnti più appropriati per descrivere certe manifestazioni. Il rischio è che sembrano anche quelli più adatti per attrarre le menti semplicistiche ma, contemporaneamente allontanarne altre. Ne vale veramente ancora la pena? Non sarebbe il caso, per il Reiki, così come per altre discipline, iniziare a fare chiarezza e ordine, togliendosi di dosso quella patina di santità e autorità esoterica che fa presa solo sui più pigri e faciloni?
Emblematica è pure la storia del Reiki, ancora oggi negata da molti, moltissimi, a cui, evidentemente, certi privilegi e accolite di seguaci fanno comodo, molto. Il Reiki, o reiji, venne “assembalto” e “riscoperto” in Giappne degli anni Venti da un medico generico di nome Mikao Usui che, nonostante la straordinaria campagna di disinformazione, risulta ormai difficile definire ancora ai giorni nostri come un “monaco crisitiano”. Usui era di origine scintoista semmai, e studioso buddhista, probabilmente praticante. Non a caso fu proprio la sua passione per il buddismo esoterico a portarlo a scoprire e attivare il metodo che attualemente chiamiamo Reiki, sicuro retaggio di discipline più complesse e complete, non ancora chiaramente individuate. Eppure bastò meno di una decna d’anni dalla sua morte a confondere le acque e a costruire ad arte una leggenda su origine, utilizzo e insegnamento del metodo. Una leggenda che viene tenacemente propugnata ancora adesso, nonostante sia oramai storia la scoperta del manuale manoscritto di Usui, della Tomba di Usui, del Monastero in cui meditava e studiava (è sempre stato lì, da secoli...) e dei luoghi e delle ultime testimonianze di superstiti venuti a contatto con la scuola-clinica originaria di Usui. Ad oggi disponiamo delle tecniche originarie di Mikao Usui, delle posizioni delle mani codificate da lui stesso, dei suoi consigli e delle sue meditazioni. Eppure, stranamente, in Occidente si preferisce credere alla leggenda, alle 21 posizioni rigide e codificate (Usui ne indica almeno 150), alle varie storielle colorate prive di alcun fondamento storico, geografico o culturale. Sembra quasi che noi uomini occidentali, farciti di scientismo e razionalismo, gongoliamo di fronte alla tentazione di interpretare la realtà in maniera diametralmente opposta, facendoci aiutare da draghi, angeli e grifoni. Troppo facile: non occorre essere un Harry Potter per vedere che sono le due faccie della stessa medaglia. Emblematico, ancora una volta, il modo di diffondere il Reiki in Occidente: tecnica di guarigione e di benesse.
Le due parole magiche: chi tra noi non ha una magagna o un acciacco da cui volersi liberare per sempre? Chi tra noi non ha un problema o un cruccio di cui volersi alleggerire?
Pensiamoci: quanta gente avrebbe attratto il Reiki se fosse sempre stato presentato come tecnica di meditazione, crescita spirituale, momento di riflessione e lavoro e fatica su sé stessi, disciplina esoterica energetico-vibrazionale in grado di mettere a nudo le proprie responsabilità e i propri blocchi emozionali, prima ancora che come tecnica di trasmissione dell’energia anche ad altri (e qundi in grado, proprio per transazione, di produrre anche ad altri questi effetti)???
Quanta gente si sarebbe avvicinata al Reiki sapendo che Mikao Usui, essendo un medico giapponese, aveva preferito applicare il suo metodo a processi di guarigione emozionale-fisica prima che spirituale-esoterica, proprio per le sue specifche competenze mediche, anatomiche, fisiologiche?
Domande retoriche e risposte scontate.
Eppure la storia e l’attualità del Reiki sembra così emblematica di una certa tendenza che, dagli anni Settanta ad oggi, sembra non mollare la presa. Chissà se le nuove generazioni si avvicineranno alla spiritualità con maggior disincanto e, quindi, con maggior disponibilità e modestia. Chissà se gli “insegnanti”, i “master”, i “facilitatori” e quant’altro (per carità, non usiamo il termine maestro per nessuna disciplina!) che sono transitati nel nuovo millennio accetteranno le nuove esigenze di una società e di una domanda culturale in rapido mutamento, a parte il non trascurabile fatto di dovere mettersi in pari, prima o poi, con la Verità, quella nuda e cruda, quella vera, quella che non guarda a titoli, diplomi, onori e templi.